Non a caso, durante il travaglio, alcune modificazioni, nell'organismo del bimbo (picchi di catecolamine, adrenalina e noradrenalina, pressione alla testa nel canale vaginale, black-out di ossigeno dovuti alle contrazioni uterine, ecc.), cercano di preparare questo passaggio al meglio e, quindi, di ridurre al minimo il trauma della nascita. Il realtà, lo stress della nascita non viene limitato al parto in sé, ma comincia con la gravidanza (soprattutto negli ultimi tre mesi) e prosegue fino a tutto il primo anno di età del bambino.
Una madre vessata o stressata in generale pone a rischio stress anche il suo bambino. Durante la gravidanza, infatti, la mamma depressa, agitata o semplicemente stanca passa, attraverso la placenta, gli ormoni al suo piccolo. Un'esposizione a stress prolungato può produrre danni neurologici e rallenta la capacità di riproduzione dei neuroni.
Una frequente e deleteria fonte di stress per le mamme in attesa è sicuramente l'ambiente lavorativo. Nonostante la legge garantisca un periodo di maternità, che va dai due mesi precedenti alla data presunta del parto fino ai tre mesi successivi al parto stesso, ci sono ancora donne costrette a lavorare fino a qualche giorno prima del parto e a riprendere l'attività qualche giorno dopo il parto. Questo purtroppo incide negativamente sulla salute del bambino, oltre che della mamma, poiché ambedue arrivano stanchi e stressati all'appuntamento con il parto pregiudicando anche il rapporto madre-figlio degli anni successivi.
Altra fonte dannosa è sicuramente il tabagismo in gravidanza. Che il fumo facesse male al bambino e provocasse parti prematuri o sotto peso era già risaputo. In più, pare che il fumo in gravidanza possa incidere sul cervello predisponendo il piccolo all'uso di sostanze tossiche in età adolescenziale. Questo perché l'esposizione al fumo di sigaretta in età prenatale danneggerebbe le parti cerebrali deputate all'apprendimento e alla memoria.
E allora cosa si può fare? Innanzitutto, se la gravidanza è stata comunque stressante, vuoi per fattori personali o esterni alla famiglia, si può cercare di ?recuperare? stabilendo un contatto forte con il neonato. Una cura limitata o addirittura la lontananza dalla madre scatenano nel bimbo reazioni stressogene. E queste reazioni sono visibili soprattutto nel rifiuto del cibo o nell'insonnia. Spesso può accadere che, soprattutto nei casi di prematurità o nei casi in cui il bambino sia nato con qualche problema di salute, lo staff della nursery impedisca alla madre un contatto più ravvicinato e prolungato con il bambino. Questo potrebbe trasformarsi in una seria difficoltà nell'attaccarsi al seno, innescando così anche reazioni stressogene nella madre, già provata nel fisico e nella psiche dal parto.
Tenere a lungo il bambino in braccio, contrariamente a ciò che si dice, non può che far bene al bambino, il quale ha bisogno del contatto e del calore materno. Anche farlo dormire nel lettone dei genitori, nonostante le critiche per il ?brutto vizio? che il bambino possa prendere, è una pratica che viene spesso caldamente raccomandata soprattutto a chi ha avuto episodi di stress durante la gravidanza ed il parto. Insomma, l'importante è stabilire con il bambino un rapporto di sicurezza e serenità, che lo faccia sentire amato e desiderato, protetto e coccolato perché riacquisti fiducia e cresca più forte e autonomo.
Fonte: paginemediche.it
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