mercoledì 21 febbraio 2007

Nuova convenzione tra La Sapienza, l'Istituto Neuromed e la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi del Molise

Come già avvenuto nella convenzione con l'Università "La Sapienza" di Roma, che regola rapporti e attività nel settore delle neuroscienze, l'Istituto Neuromed si relaziona anche ad un'altra realtà di ricerca universitaria, impegnandosi a collaborare con la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi del Molise, per la programmazione e attuazione di progetti di formazione e di ricerca, di attività di stage, di utilizzo di piattaforme tecnologiche nell'ambito delle neuroscienze, della medicina molecolare e dei settori scientifici collegati. L'occasione è data dall'apertura in Molise del Polo Didattico della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi del Molise avvenuta nell'aprile 2006. "La convenzione tra Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, Università degli Studi del Molise e IRCCS Neuromed di Pozzilli risponde all'esigenza di potenziare la rete di ricerca biomedica nel Molise, ha affermato il Preside di Facoltà, Prof Giovannangelo Oriani, mettendo in collegamento le istituzioni universitarie con quelle realtà di ricerca biomedica che come Neuromed costituiscono un autentico patrimonio della regione. Si tratta di una convenzione quadro, ha continuato il Prof Oriani, che prevede attività di ricerca che tre enti possono svolgere, condividendo strutture e competenze, presso la sede del Neuromed, nel settore delle neuroscienze. I progetti da attivare all'interno della convenzione possono essere proposti da ognuno dei partner e prevedono che ricercatori dell'Università del Molise possano operare presso i laboratori Neuromed e viceversa"."In effetti, questo Istituto, per le sue capacità scientifiche e per le sue attività assistenziali, si è guadagnato un posto di alto rilievo nel campo della sanità e si è posto all'attenzione nazionale e internazionale", ha affermato il Presidente dell'IRCCS di Pozzilli, il Prof Erberto Melaragno, concludendo che "tutto ciò si è reso possibile anche grazie alla collaborazione con l'Università "La Sapienza" di Roma e, certamente, ulteriori traguardi si raggiungeranno, instaurando rapporti con la giovane Facoltà di Medicina dell'Università degli Studi del Molise ".

martedì 20 febbraio 2007

Eutanasia: crocevia della coscienza medica

Tra tutti gli articoli e i pareri che mi è capitato di leggere in merito al tema dell'eutanasia, quello che ho scelto di riportare oggi affronta il perchè questa pratica venga richiesta più frequentemente da paziente affetti da disturbi neuropsichiatrici, sottolinenado la necessità di comprendere quando e come queste persone sono in grado di esercitare "il libero arbitrio".
Ho scelto di non riportare immagini nell'intento di non spettacolizzare un tema che riguarda la delicata condizione esistenziale dei malati soprattutto e delle persone a loro vicino.

FRANCESCO MONACO, UNIVERSITA’ DI NOVARA
C’ è sempre stato un rapporto intenso e ambiguo tra le neuroscienze e l’eutanasia, rapporto che il recente (ma non unico) caso di Piergiorgo Welby ha riproposto all’opinione pubblica in maniera dirompente. Paradossalmente, infatti, sia la richiesta di eutanasia da parte dei pazienti sia le proposte di legalizzazione di tale pratica in soggetti con disturbi neuropsichiatrici sono risultate molto più frequenti che non per altri tipi di patologie.
Da una parte, infatti, a richiedere in maniera angosciante la cessazione delle sofferenze sono individui che hanno perduto il controllo totale dei movimenti agli arti (tetraplegia) e che conservano tuttavia intatta la coscienza. Questi pazienti potrebbero essere definiti quasi dei «morti viventi», avendo un corpo pressoché morto al di sotto del livello della lesione (solitamente cervicale) e un cervello, e quindi la sua mente, perfettamente integri. Dall’altra, esiste una quantità di soggetti, dei quali una parte in costante aumento a causa dell’allungarsi della vita, affetti da una situazione clinica opposta, ovvero da disturbi psichici devastanti o grave decadimento mentale (come per esempio l’Alzheimer), senza alterazioni particolari del movimento.Un sottogruppo di questa seconda popolazione è costituito da bambini con gravi lesioni cerebrali congenite oppure acquisite.Sia soggetti adulti che bambini con questi disturbi nel passato furono vittime di infami programmi di eutanasia attiva, come nel Terzo Reich. Appare pertanto opportuno che il dibattito sull’eutanasia sia affrontato tenendo conto di queste premesse e che il coinvolgimento delle neuroscienze nelle sue problematiche mediche ed etiche aiuti a chiarire un argomento lacerante.Il nodo della questione si trova, metaforicamente, nell’intersezione tra neurologia e filosofia, ovvero in quella nuova scienza, la «neurofilosofia», che sta sperimentando un forte sviluppo proprio grazie alle formidabili scoperte delle neuroscienze: portate ai loro estremi, pongono in discussione persino il dilemma millenario del «libero arbitrio». La preoccupazione è infatti che la comprensione dei meccanismi biologici del cervello possa minare le nostre credenze su di esso e sulla responsabilità morale. Si riattualizza pertanto il dualismo filosofico tra mondo «deterministico» (tutto è stabilito da Dio o dalla fisica) e «libertario» (tutto è casuale). Il dualismo non è lontano dall’argomento «eutanasia», perché questo è un capitolo del più vasto argomento che è la bioetica. Infatti, la questione fondamentale nel decidere se dichiarare legittima o no l’eutanasia è che in ogni caso si ha a che fare con i concetti mentali di «coscienza» e «libertà», entrambi interdipendenti. Se sulla scorta delle recenti ricerche delle neuroscienze cognitive, sostituiamo il termine «libertà» con quello di «controllo», forse sgombriamo il campo da preconcetti moralistici e inconcludenti e iniziamo a ragionare in maniera laica, aiutando l’individuo a scegliere con relativa serenità. Il «controllo» può rappresentare una nozione appropriata quale intermediaria tra la decisione e l’azione da una parte e la responsabilità dall’altra.In questa ottica l’eutanasia può essere attuata solo da chi esercita il completo controllo delle sue decisioni nel momento della scelta, e questo implica che la sua coscienza sia integra e nessuna delega o deroga è ammissibile.
In questo ambito si situa anche il discorso sul «testamento biologico». Come medico e come neurologo ritengo che l’eutanasia potrebbe essere applicabile a chi la richiede laddove sia pienamente cosciente. Sono invece contrario ad ogni forma di «soppressione del diverso», intendendo con questa definizione l’eutanasia delle persone con deficit cognitivi e/o psichici. Per questo condivido la presa di posizione dell’American Academy of Neurology, secondo cui «tutti i pazienti devono essere trattati con rispetto e compassione e ogni cura palliativa deve essere fornita a chiunque la necessiti e la richieda». L’Academy, così, parla in difesa di quella schiera di persone cognitivamente impedite, o vulnerabili, che sono più a rischio per la fascinazione della dolce morte.

sabato 17 febbraio 2007

A Milano sfila la salute!

Valeria MazzaLa moda contro l'anoressia a Milano: ecco la sfilata sotto i lampioni di corso Sempione per fare vedere ai cittadini che si puo' essere belli e sani.
Questa l'iniziativa promossa dall' assessorato alla Salute e alle Attivita' Produttive che ha portato sotto i riflettori una trentina di modelle i cui canoni estetici corrispondono ai requisiti previsti dal codice etico firmato lo scorso dicembre. Allietati dalle note dell'arpa suonata da Cecilia Chailly, centinaia di persone hanno assistito alla manifestazione che ha raccolto i fondi per sostenere l'associazione Anoressia Bulimia (Aba) di Fabiola De Clercq. ''L'anoressia non nasce con la moda e non finisce con la moda - ha spiegato l'assessore comunale alla Salute, Carla De Albertis - ma l'alleanza con il mondo della moda ci aiuta a trasmettere modelli di vita corretti''. Una trentina di modelle, taglia 42, 43, 44, hanno indossato in occasione dell'evento presentato dall'assessore alle Attivita' Produttive, Tiziana Maiolo, dal titolo 'Creativita' artigiana in passerella', i capi realizzati dai giovani sarti dell'istituto di moda milanese Burgo.


Tra le indossatrici che hanno sfilato, oltre a Valeria Mazza in un elegante abito rosso e testimonial per l'occasione, anche Bianca Baldi, al sesto mese di gravidanza, la signora Shevchenko, Kristen Pazik e, anche se per una sera soltanto su una passerella diversa dal solito, Margherita Gambassi, la campionessa mondiale di fioretto che per quando riguarda il suo regime nutrizionale non ha negato ''mangio di tutto, sono molto golosa ma seguo una dieta dissociata dalle porzioni abbondanti''.

La depressione può essere una strategia comportamentale?

Stati depressivi E se la depressione non fosse semplicemente una patologia da curare, ma anche una strategia comportamentale per ottenere attenzione e cure parentali?
A ipotizzare un ruolo evolutivo della depressione è uno studio apparso sul settimanale Los Angeles Times. Ma altri puntano invece sul ruolo dei geni...
L'ipotesi evolutiva. Lo psichiatra J. Anderson Thomson jr. è partito dal caso clinico di una ragazza del college che dopo ripetuti episodi di autolesionismo e pensieri suicidali è riuscita a ottenere dalla famiglia una maggiore attenzione per le sue aspirazioni universitarie e la sua individualità. Dopo che le è stato permesso di cambiare facoltà e le è giunta una maggiore complicità con le sue scelte da parte dei genitori, il suo quadro psicologico è drasticamente mutato in meglio. “Qualche anno fa”, ammette Thomson jr., “avrei interpretato la depressione di quella ragazza come rabbia rivolta all’interno, ma ora mi rendo conto che potrebbe trattarsi ‘semplicemente’ di un modo contorto per segnalare la sua infelicità ai suoi cari. La Psicologia evolutiva in fondo vede la mente come un set di meccanismi evoluti, di adattamenti tesi a favorire la sopravvivenza e la riproduzione”. Non è quindi tanto inconsueto che gli psicologi evolutivi enfatizzino i benefici di condizioni altrove definite patologiche. Edward H. Hagen della Humboldt University di Berlino sostiene nei suoi studi che la depressione, i tentati suicidi e l’autolesionismo siano parte di una complessa tattica comportamentale tesa a manipolare gli altri in modo che offrano un supporto altrimenti non ottenibile. Stephen S. Ilardi dell’University of Kansas suggerisce: “La depressione è probabilmente il frutto di un’incoerenza tra gli esseri umani, che si sono evoluti seguendo il modello preda-predatore, e il mondo contemporaneo”.

L'ipotesi genetica. In uno studio apparso sulla rivista Behavioral and Brain Sciences però Matthew C. Keller del Virginia Institute for Psychiatric and Behavioral Genetics avanza l’ipotesi che patologie come la depressione e la schizofrenia siano dovute all’accumulo di mutazioni genetiche dannose, falle nel sistema. “Sono talmente numerosi i geni coinvolti nello sviluppo cerebrale”, spiega Geoffrey Miller, professore di Psicologia all’University of New Mexico e collaboratore di Keller, “e ognuno dei geni è vulnerabile alle mutazioni ad ognuna generazione che si sussegue. Quando queste mutazioni si sommano l’una a le altre, il risultato è una condizione patologica”.



martedì 13 febbraio 2007

I neuroni specchio: imitazione, empatia e molto altro

neuroni I neuroni specchio sono situati nella corteccia premotoria e nelle aree parietali inferiori che in parte coordinano movimento e percezione e inoltre nel lobo parietale posteriore, nel solco temporale superiore e nell'insula, regioni queste deputate alla comprensione dei sentimenti e alla capacità linguistica.
Ad essere sinceri sembra proprio che li utilizziamo per apprendere tutto: a partire dalla semplice imitazione che da piccoli insegna a camminare fino all'attribuzione di un significato più profondo a gesti ed espressioni che ci consentono di emozionarci.
I risultati che hanno dato un particolare rilievo alla scoperta dei neuroni specchio, risalgono a tempi recenti, quando nel 2005 Gallese e Rizzolatti hanno dimostrato che se ascoltiamo una frase che descrive una determinata azione, in noi viene elicitata la stessa area deputata ad eseguirla e che comporta l'attivazione dei neuroni specchio, come se in definitiva non ci fosse differenza tra il dire e il fare.
Inoltre sempre nel 2005 Iacoboni ha effettuato degli esperimenti in cui provava l'attivazione di gruppi di neuroni specchio differenti, in base allo sfondo emozionale legato all'immagine somministrata: lo stimolo era "l'avvicinamento del braccio" e il contesto all'interno del quale aspettare questo gesto si alternava tra una tavola imbandita ordinatamente e una invece caotica. Nel primo caso l'aspettativa era che la mano si muovesse per bere dalla tazza del tè, mentre nel secondo caso il movimento veniva collegato al gesto di sollevare la tazza per sparecchiare.
L'attivazione di gruppi differenti, sembra essere legata alla percezione delle intenzioni ed è proprio questa la caratteristica fondamentale attribuita ai neuroni specchio: la comprensione delle esperienze a partire dal nostro modo di percepire le espressioni altrui.
Quella dei neuroni specchio è un'area delle neuroscienze che costituisce un interesse particolare, soprattutto se consideriamo le conseguenze di una loro eventuale anomalia. L'incapacità di riconoscere le azioni degli altri, secondo alcuni, avrebbe alla base un difetto di questo gruppo neuronale che potrebbe spiegare l'assenza di risposta tipica dell'autismo.

lunedì 12 febbraio 2007

Alla scoperta dei nostri pensieri!

risonanza magneticaRoma - La neuroscienza leggerà nel pensiero, anzi direttamente nel cervello, come fosse un libro aperto o un codice da decifrare. È quello che sostengono John-Dylan Haynes, del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Lipsia, e un team di ricercatori giapponesi e inglesi, che hanno condotto uno studio pubblicato nei giorni scorsi su Current Biology.
"Le intenzioni riguardo alle attività future e programmate non risiedono in singoli neuroni, ma si codificano in un'intera area del cervello", ha affermato Hayes.Algoritmi complessi e un macchinario per la risonanza magnetica funzionale: è quanto basta per monitorare ed interpretare l'attività cerebrale che brulica nell'area anteriore della corteccia prefrontale del cervello, sede delle intenzioni (area verde, nell'immagine qui sotto). Assegnato un compito ad otto volontari, una scelta riguardo alla sottrazione o alla somma di due numeri, si è riusciti a leggere loro nella mente, individuando l'intenzione di sottrarre o addizionare. Ciò prima ancora che i numeri su cui operare venissero rivelati, prima ancora che l'intenzione si traducesse in azione, momento in cui l'attività cerebrale si sposta nella regione di cervello situata appena dietro a quella anteriore prefrontale (area in rosso nell'immagine).Basandosi sull'analisi dell'attività dell'area anteriore della corteccia prefrontale, infatti, i ricercatori hanno osservato come questa porzione di cervello si attivi rispettando dei pattern, degli schemi che si differenziano e ricorrono con regolarità, in base alle diverse intenzioni dei soggetti.
Dopo quaranta minuti di addestramento basato sulla multivariate pattern recognition (l'analisi e l'individuazione del variare di parametri nelle mappe cerebrali emerse dalle scansioni del cervello), i computer hanno imparato a riconoscere i diversi schemi di attività cerebrale, preconizzando le azioni messe in atto dai soggetti, con il 70 per cento di successo.Le neuroscienze intravedono sviluppi rivoluzionari per la loro attività. Haynes, intervistato da LiveScience, immagina con ironia un futuro in cui la multivariate pattern recognition possa applicarsi all'ambito della videoludica, per semplificarne e amplificarne l'esperienza di gioco (esperimento, peraltro, già messo in atto, seppure in ambito diverso). Pensare ad una figura plastica in cui si contorce uno snowboarder librandosi in volo, potrebbe risultare più gradevole che intrecciare le dita in combinazioni di tasti arbitrarie. Peccato che un macchinario per la risonanza magnetica funzionale non costi meno di due milioni di dollari.Ma la videoludica sembra un ambito di applicazione marginale, e più futuristico rispetto ad altri. Hayes pensa ad applicazioni nell'ambito della protesistica per le disabilità motorie, ambito già contaminato dalle neuroscienze, fra braccia bioniche e psicoscimmie robotizzate. Prospetta inoltre interfacce neurali capaci di ricevere comandi direttamente dal cervello, obiettivo già concretizzatosi in tecnologie dai nomi più o meno evocativi, quali Brain Machine Interface, Kokorogatari o BrainGate.

Raccomanda cautela, Hayes: siamo ancora lontani dal leggere nel pensiero. Due gli ordini delle questioni che si frappongono alle applicazioni più fantascientifiche.A livello di macchinari, oltre al costo non indifferente, che potrebbe limitarne le implementazioni, emerge un problema di ordine logistico: esplorare porzioni meno superficiali del cervello è ancora impossibile senza danneggiare l'individuo che si sottopone allo scanning. A livello di risultati, si è riusciti a prevedere il comportamento di soggetti messi di fronte a compiti che comportano una scelta si/no ma ben diverso sarà interpretare le intenzioni più complesse, distinguere tra pensieri che l'individuo concretizzerà in azioni e pensieri effimeri, che lo sfiorano appena. I pattern da individuare e analizzare, nel caso di operazioni mentali complesse, sono combinazioni di variabili complicatissime, e richiederebbero un addestramento dei software che si spingerebbe decisamente oltre i quaranta minuti.Ma la scienza procede con guizzi repentini, ed è opportuno porsi con anticipo le questioni etiche che potrebbero schiudersi, avverte Hayes in un'intervista rilasciata a Guardian Unlimited.

Già ci si scaglia negli USA contro macchine della verità basate sulla risonanza magnetica, capaci di far trapelare onestà e menzogna in sede di tribunale. Ma i risultati dello studio del gruppo di Hayes potrebbero sfociare in un futuro ancor più tetro, à la Minority Report. Gli scanner potrebbero individuare i crimini prima del loro compimento, come in parte già avviene nel Regno Unito. Si configura in questo modo una società della sorveglianza delle intenzioni, un distopico panopticon cerebrale.

venerdì 9 febbraio 2007

La pelle può riflettere il nostro stato d'animo


Oggi riporto il nuovo libro di Roberto Bassi, "Psiche e Pelle", edito da Bollati Boringhieri, che affronta il perché certe forme di orticaria, acne e certe «allergie» non guariscono con i farmaci, ma anzi si ostinano a perdurare nel tempo e nei sintomi. L'autore riconduce la loro origine allo stato d'animo della persona che soffre dell'affezione.
Roberto Bassi, dermatologo e docente di Psicosomatica dermatologica all’Università di Ferrara, aggiorna e arricchisce un libro scritto anni fa (La ragazza che odiava gli specchi) aggiungendo anche casi clinici più recenti.
Un libro che parla a chi il problema lo vive, che spiega in maniera diretta le sintomatologie e come a volte queste regrediscano con il superamento delle difficoltà emotive, dando così uno spiegamento unico tra mente e corpo.

giovedì 8 febbraio 2007

Piccoli e Timidi, ma perchè?


Dimostrata al San Raffaele l'esistenza di una relazione tra la variante di un gene, un meccanismo del cervello e la timidezza dei bambiniI bambini con una particolare versione del gene 5-HTTLPR sono più timidi della maggior parte dei coetanei: questi i risultati di uno studio condotto dal gruppo di ricercatori diretto da Marco Battaglia, professore associato di psicologia clinica all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Non solo, di fronte all'espressione ostile del viso dei coetanei il loro cervello si attiva in maniera molto diversa da quello degli altri bambini. La ricerca, pubblicata sul numero di gennaio 2005 di Archives of General Psychiatry, la più autorevole rivista in ambito psicopatologico, è stata condotta dall'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano in collaborazione con clinici e ricercatori dell'Istituto Eugenio Medea-La Nostra Famiglia di Bosisio Parini.L'accertamento precoce di questa forte timidezza infantile e la conoscenza delle cause e dei processi neuronali che ne stanno alla base permetteranno di capire quali bambini resteranno socialmente inibiti anche in età adulta e saranno così esposti a un maggior rischio di sviluppare disturbi ansiosi. Un procedimento di acquisizione di potenziali cerebrali in risposta a immagini del volto, presentate ai bambini in forma di videogioco, e avanzate tecniche di genetica molecolare sono stati gli strumenti dello studio condotto su 49 bambini di età compresa tra i 7 e i 9 anni. L'indagine si è articolata su due fasi: un anno fa i ricercatori avevano studiato il comportamento dei bambini e ne avevano definito il grado di timidezza in ambito sociale. Parallelamente il loro DNA era stato sequenziato e analizzato utilizzando semplici prelievi di saliva.Nel successivo stadio della ricerca lo schermo di un computer mostrava ai bambini immagini di coetanei con espressioni del volto gioiose, rabbiose e neutre; contemporaneamente una serie di elettrodi ne registrava l'attività cerebrale. Gli elettrodi impiegati erano altamente sensibili, tanto da rilevare le variazioni di potenziale che si verificano entro 300-400 millesimi di secondo da quando un individuo è esposto ad uno stimolo sensoriale rilevante, come le espressioni del volto delle altre persone. I brevi tracciati encefalografici registrati nel corso del test hanno evidenziato come i bambini più timidi abbiano, in alcuni contesti sociali, particolari modalità di attivazione del cervello.L'analisi della sequenza del DNA dei bambini ha permesso ai ricercatori di scoprire che una percentuale significativa dei soggetti più timidi hanno in comune questi particolari tracciati encefalografici e una variante del gene 5-HTTLPR che regola il trasporto della serotonina, uno dei principali neurotrasmettitori del cervello. Lo studio dimostra, quindi, come questa variante, comune nella popolazione, sia una causa rilevante delle particolari modalità di attivazione cerebrali registrate e sia parallelamente associata a un più elevato grado di timidezza dei bambini.Circa il 10% della popolazione di bambini e adolescenti appaiono più inibiti e timidi della media. Questa inibizione sociale in parte è di origine genetica e in parte viene influenzata dalle esperienze dell'individuo. Mentre la maggior parte dei bambini crescendo risolve in parte o completamente questo problema, senza ricorrere a un supporto clinico, altri restano socialmente inibiti correndo un maggior pericolo di sviluppare disturbi ansiosi in età adulta. I bambini timidi, come emerge ancora dallo studio, hanno più difficoltà a interpretare correttamente le espressioni di rabbia o di ostilità dei loro coetanei e questo può rappresentare per loro un ostacolo all'avere un'equilibrata vita di relazione.Marco Battaglia, professore associato di psicologia clinica all'Università Vita-Salute San Raffaele e primo autore dello studio, osserva: “Per la prima volta si dimostra che alcuni geni comunemente presenti nella popolazione possono influenzare non solo alcuni aspetti del comportamento umano ma anche le modalità attraverso le quali il nostro cervello analizza informazioni importanti nella comunicazione tra persone, come i segnali non verbali di accettazione o rifiuto. Tale influenza - precisa Battaglia non va tuttavia intesa in senso deterministico e inflessibile, poiché le variabili ambientali possono non solo giocare un ruolo di rilievo su come la nostra personalità si struttura nel tempo, ma anche modificare le modalità con le quali il nostro codice genetico viene letto, cioè viene tradotto in molecole in grado di influenzare le nostre emozioni ed i nostri comportamenti”. Lo studio è stato possibile grazie ad un finanziamento COFIN e dall'Independent Investigator Award della fondazione statunitense NARSAD.


Venire al mondo può essere uno stress!

neonatiLa nascita di un bambino è un evento che allieta ogni famiglia, eppure nasconde in sé una carica stressante, per la mamma e per il bebé, che non è certo da sottovalutare. Il passaggio da un mondo protetto (in cui i suoni giungono ovattati ed in cui gli stessi movimenti materni cullano il a bambino) ad un mondo del tutto nuovo (dove, invece, i contrasti sono violenti) è per il bambino fonte di grande stress.
Non a caso, durante il travaglio, alcune modificazioni, nell'organismo del bimbo (picchi di catecolamine, adrenalina e noradrenalina, pressione alla testa nel canale vaginale, black-out di ossigeno dovuti alle contrazioni uterine, ecc.), cercano di preparare questo passaggio al meglio e, quindi, di ridurre al minimo il trauma della nascita. Il realtà, lo stress della nascita non viene limitato al parto in sé, ma comincia con la gravidanza (soprattutto negli ultimi tre mesi) e prosegue fino a tutto il primo anno di età del bambino.

Una madre vessata o stressata in generale pone a rischio stress anche il suo bambino. Durante la gravidanza, infatti, la mamma depressa, agitata o semplicemente stanca passa, attraverso la placenta, gli ormoni al suo piccolo. Un'esposizione a stress prolungato può produrre danni neurologici e rallenta la capacità di riproduzione dei neuroni.

Una frequente e deleteria fonte di stress per le mamme in attesa è sicuramente l'ambiente lavorativo. Nonostante la legge garantisca un periodo di maternità, che va dai due mesi precedenti alla data presunta del parto fino ai tre mesi successivi al parto stesso, ci sono ancora donne costrette a lavorare fino a qualche giorno prima del parto e a riprendere l'attività qualche giorno dopo il parto. Questo purtroppo incide negativamente sulla salute del bambino, oltre che della mamma, poiché ambedue arrivano stanchi e stressati all'appuntamento con il parto pregiudicando anche il rapporto madre-figlio degli anni successivi.
Altra fonte dannosa è sicuramente il tabagismo in gravidanza. Che il fumo facesse male al bambino e provocasse parti prematuri o sotto peso era già risaputo. In più, pare che il fumo in gravidanza possa incidere sul cervello predisponendo il piccolo all'uso di sostanze tossiche in età adolescenziale. Questo perché l'esposizione al fumo di sigaretta in età prenatale danneggerebbe le parti cerebrali deputate all'apprendimento e alla memoria.
E allora cosa si può fare? Innanzitutto, se la gravidanza è stata comunque stressante, vuoi per fattori personali o esterni alla famiglia, si può cercare di ?recuperare? stabilendo un contatto forte con il neonato. Una cura limitata o addirittura la lontananza dalla madre scatenano nel bimbo reazioni stressogene. E queste reazioni sono visibili soprattutto nel rifiuto del cibo o nell'insonnia. Spesso può accadere che, soprattutto nei casi di prematurità o nei casi in cui il bambino sia nato con qualche problema di salute, lo staff della nursery impedisca alla madre un contatto più ravvicinato e prolungato con il bambino. Questo potrebbe trasformarsi in una seria difficoltà nell'attaccarsi al seno, innescando così anche reazioni stressogene nella madre, già provata nel fisico e nella psiche dal parto.
Tenere a lungo il bambino in braccio, contrariamente a ciò che si dice, non può che far bene al bambino, il quale ha bisogno del contatto e del calore materno. Anche farlo dormire nel lettone dei genitori, nonostante le critiche per il ?brutto vizio? che il bambino possa prendere, è una pratica che viene spesso caldamente raccomandata soprattutto a chi ha avuto episodi di stress durante la gravidanza ed il parto. Insomma, l'importante è stabilire con il bambino un rapporto di sicurezza e serenità, che lo faccia sentire amato e desiderato, protetto e coccolato perché riacquisti fiducia e cresca più forte e autonomo.

Fonte: paginemediche.it

Mi vedo grassa quindi sono grassa: la percezione alterata nell'Anoressia

alterata percezioneE' stata pubblicata su Nature Neuroscience una ricerca dell'IRCCS "E. Medea" in collaborazione con l'Università La Sapienza e l'IRCCS Santa Lucia (a piè pagina l'elenco corretto degli autori dello studio).
Lo studio aiuterà a comprendere le alterazioni dell'immagine corporea tipiche dell'anoressia. L'anoressia nervosa è la situazione più nota in cui una persona (in genere di sesso femminile) ha un'alterata percezione e rappresentazione del proprio corpo: si vede e si percepisce, infatti, come sovrappeso anche se oggettivamente denutrita e magra. Analogamente le lesioni cerebrali possono far percepire la sensazione che una determinata parte del nostro corpo appartenga ad altri individui; oppure indurre un'incapacità selettiva nel riconoscere volti o nel comprendere e programmare azioni. Si tratta di condizioni patologiche che interessano sia l'ambito neurologico che quello psichiatrico: anche se molto differenti tra loro è stato ipotizzato che abbiano in comune un'alterazione - funzionale o strutturale - di regioni cerebrali dedicate alla cosiddetta immagine corporea. Un gruppo di ricercatori italiani ha dimostrato, per la prima volta, che il cervello opera una dissociazione tra l'identità di un corpo e l'azione che esso compie. Infatti, due diverse aree del cervello elaborano l'identità e l'azione del corpo umano: il riconoscimento dell'individualità e dell'identità del corpo è affidata all'attività di un'area della corteccia visiva, la Extrastriate Body Area (EBA), mentre la corteccia premotoria ventrale (cPMv) è determinante per comprendere ciò che il corpo sta facendo. I ricercatori sono giunti a questi risultati grazie all'utilizzo della Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva. Questa tecnica non invasiva è infatti in grado di interferire transitoriamente con l'attività delle aree stimolate inducendo una "lesione" virtuale delle stesse in individui sani. Lo studio evidenzia per la prima volta che stimolare l'area extrastriata per il corpo interferisce con la percezione dell'identità di individui che eseguono la stessa azione, mentre la stimolazione della corteccia premotoria ventrale interferisce con la percezione di due diverse azioni eseguite dallo stesso individuo.
Questi risultati chiariscono le basi neurali della rappresentazione visiva del proprio corpo e del corpo degli altri. Aprono inoltre nuove prospettive per la comprensione delle alterazioni della rappresentazione corporea in ambito neurologico e psichiatrico, per esempio nel caso dell'anoressia: "Una più accurata conoscenza delle strutture corticali implicate nella codifica dei diversi aspetti del corpo – sottolinea Urgesi - può aiutare la messa a punto di piani di intervento per la riabilitazione dei disturbi dell'immagine corporea in età adulta e nell'infanzia".Studio pubblicato nel numero di gennaio 2007 della rivista Nature Neuroscience (Vol. 10, Issue 1, pagg. 30-31; www.nature.com/natureneuroscience).
"Representation of body identity and body actions in extrastriate body area and ventral premotor cortex" Cosimo Urgesi (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico 'E. Medea', Polo Regionale Friuli Venezia Giulia), Matteo Candidi (Dipartimento di Psicologia, Universita` di Roma 'La Sapienza'), Silvio Ionta (Dipartimento di Psicologia, Universita` di Roma 'La Sapienza', Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Fondazione Santa Lucia), Salvatore M. Aglioti (Dipartimento di Psicologia, Universita` di Roma 'La Sapienza', Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Fondazione Santa Lucia).Comunicato Stampa I.R.C.C.S. "E.Medea"- Ass. "La Nostra Famiglia" .


mercoledì 7 febbraio 2007

La Ricerca in Italia ricomincia dal Friuli!

ricercaIl Cbm, distretto tecnologico di biomedicina molecolare del Friuli Venezia Giulia, ha presentato progetti di ricerca per 15 milioni di euro.

10 progetti di ricerca presentati negli ultimi mesi al Ministero dell' Università e della Ricerca, per un valore di 15 milioni d'euro: sono i risultati del Cbm, il Distretto tecnologico di Biomedicina Molecolare del Friuli Venezia Giulia. 14 milioni andranno alla realizzazione di iniziative di ricerca vera e propria mentre altri 1,4 milioni alle relative attività di formazione.
I numeri sono particolarmente positivi sia per quanto riguarda la potenziale ricaduta economica sia per la creazione di un ambiente altamente stimolante e qualificato, capace di competere a livello internazionale.
La distribuzione settoriale dei progetti prevede: cinque progetti sul tema delle applicazioni nell'oncologia, tre nelle nanotecnologie, uno nelle malattie cardiovascolari ed un altro nelle neuroscienze.
Il Consorzio ha assistito i soggetti proponenti nella valutazione di fattibilità dei progetti, nella stesura finale del documento e nell'inoltro al Ministero. Attraverso il proprio Osservatorio economico, ha fatto inoltre da tramite tra aziende e ricercatori interessati ad individuare possibili partner. Anche Sviluppo Italia Friuli Venezia Giulia è tra le realtà contattate, insieme a Friulia, Innovation Factory e Area Science Park.

Fonte: Sviluppo Italia

giovedì 1 febbraio 2007

L'uso dei farmaci nell'infanzia

Riporto qui la lettera scritta dal Dott. Carlo Olivieri e rivolta al Ministero della Salute e che tocca una problematica urgente come l'uso dei farmaci per i bambini.

Come è possibile che, mentre i servizi per la salute mentale sul territorio italiano lascino ancora molto a desiderare, si permetta l'apertura di 82 centri in tutta Italia per la somministrazione di psicofarmaci ai bambini cosiddetti "iperattivi"?
Andando più nello specifico, l'uso del metilfenidato (Ritalin) nei casi di bambini a cui è stato diagnosticato il Disturbo da Deficit dell'Attenzione con Iperattività (ADHD) è ancora oggetto di numerose controversie. Alcuni studi dimostrerebbero numerosi effetti collaterali e l'insorgenza di altri disturbi mentali più gravi negli anni successivi.A proposito, invece, dei dati a favore dell'uso di questo farmaco, bisogna premettere che sono nella maggior parte dei casi il prodotto di studi pagati dalle case farmaceutiche. Proprio su questo argomento, sul British Medical Journal viene chiaramente denunciato che "le sperimentazioni di farmaci sponsorizzate dai produttori devono essere valutate con molta cautela, non sono né trasparenti né rigorose".

Di fronte a tutti questi dubbi e a tutti questi richiami alla cautela, irresponsabilmente si permetterebbe l'apertura di centri per la somministrazione ai bambini di questi psicofarmaci.
Psicologia del Nuovo Umanesimo si associa all'appello, di più di cento associazioni e di 230mila addetti ai lavori, indirizzato al ministero della Salute, affinché si fermi questa aberrazione.
Inoltre è necessario rimettere in discussione, non solo la politica, che risponde sempre più agli interessi delle multinazionali del farmaco e sempre meno alle esigenze dei cittadini, ma anche i modelli di comportamento con cui si sta affrontando il disagio sempre maggiore che si avverte nella nostra società.
Siamo allarmati per l'aumento sostenuto dell'uso di droghe illecite e psicofarmaci, e per l'impossibilità che hanno i sistemi di salute ad affrontare i problemi psicologici ed emozionali che le attuali condizioni di vita producono negli individui.
I prodotti chimici, le droghe legali, si sono convertiti, come le droghe illegali, in un mezzo compensatorio per sopportare il nostro stile di vita e minimizzare o evadere le emozioni come l'ansietà, la solitudine, la pena, la noia e la rabbia. La società contemporanea, insegna alle persone ad evadere da tali sentimenti attraverso la soluzione chimica, invece di potenziare le proprie risorse per modificare questa situazione che produce sofferenza.
Una vita diversa è possibile. Una vita dove la droga diventi non necessaria, dove la depressione, lo stress e la violenza retrocedano. Bisogna dare a tutte le persone gli strumenti necessari che permettano loro di occuparsi dell'equilibrio e sviluppo di se stessi e di chi li circonda, per generare una rete di persone con la sufficiente potenza interna per lottare con forza, creatività e decisione a beneficio del superamento della sofferenza personale e sociale.
Se scienze come la medicina, la psicologia e la psichiatria si metteranno su questa strada, retrocederanno contemporaneamente tutti coloro che vogliono continuare ad arricchirsi a spese della nostra salute.

Fonte: La Leva di Archimede