martedì 17 aprile 2007

...poi non si torna indietro!

Con una delibera pubblicata il 27 marzo 2007 in Gazzetta Ufficiale l’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato la somministrazione del Prozac® per uso pediatrico, a seguito di un’analoga delibera dell’EMEA (Agenzia Europea del Farmaco) datata novembre 2006. “E’ davvero scandaloso – afferma Luca Poma, portavoce nazionale di “Giù le Mani dai Bambini”®, prima campagna italiana di farmacovigilanza per l’età pediatrica in Italia – che si possa presumere di risolvere il disagio profondo di un minore medicalizzandolo con una pastiglia di Prozac®. Una volta di più, si conferma la contiguità dell’industria farmaceutica con le istituzioni sanitarie: l’Agenzia Europea del Farmaco dipende infatti non già dalla Direzione Generale Sanità, come sarebbe auspicabile, bensì dalla Direzione Generale Industria. Inoltre questa presunta ‘restrizione’, secondo la quale sarà possibile somministrare lo psicofarmaco “solo dopo 4/6 sedute di psicoterapia non andate a buon fine” è una vergognosa presa in giro: neppure Freud e Yung, seduti allo stesso tavolo, sarebbero mai riusciti a risolvere il disagio profondo di un bambino o adolescente in un paio di settimane di terapia.Sconcerta anche l’assoluta sudditanza delle istituzioni sanitarie italiane: il giorno che da Bruxelles disporranno per la somministrazione di veleno ai nostri bambini dovremo chinare la testa e dire di si?” Emilia Costa, titolare della 1° Cattedra di Psichiatria dell’Università di Roma “La Sapienza”, ha dichiarato: “il successo delle psicoterapie non farmacologiche è noto in letteratura scientifica, ma spesso ignorato in terapia. Vengono utilizzati con leggerezza psicofarmaci e si crede che le terapie non farmacologiche non funzionino altrettanto: il problema invece è che sono state “snobbate” per lungo tempo a favore di soluzioni dagli effetti più immediati. E’ ora che i terapeuti professionisti ammettano ciò che è noto: la psicoterapia modifica in modo misurabile la struttura cerebrale, ed influisce concretamente e positivamente sul comportamento. Non comprendo quindi come si possano continuare ad ignorare questi fatti, prediligendo sempre l’approccio biologico, organicista e farmacologico e declassando superficialmente tutto il resto a “quattro chiacchere” tra terapeuta e paziente”.Ha commentato Luigi Cancrini, psichiatra, della Commissione Parlamentare Infanzia: "la depressione non è una malattia, la depressione è un sintomo! Qui si cerca di “diagnosticarla” senza interrogare se stessi e il bambino a proposito delle cause che hanno determinato il disagio: un po’ come porsi di fronte a chi piange la morte di una persona cara tentando di curare il suo dolore con un collirio che blocca l’attività delle ghiandole lacrimali! Una diffusione acritica degli antidepressivi sui bambini è un grande rischio per la salute mentale delle nuove generazioni: così non si fa altro che cronicizzare questo genere di problemi”.

Fonte: solaris.it

"Sorridi in ospedale!"

clown Hanno camici colorati, nasi rossi e la battuta sempre pronta per disegnare un sorriso sui volti dei bambini terrorizzati da siringhe e interventi: sono i clown dottori, circa 90 in tutta Italia, di cui 25 nella Capitale. Un lavoro talmente duro che, dopo il corso di formazione, non tutti decidono di farlo. Nei reparti vanno sempre in coppia e non svolgono più di 4 interventi alla settimana. Della loro attività si è parlato stamattina in Campidoglio, al convegno “Guarir dal ridere: clown dottori, conquiste e prospettive della gelotologia.Ridere fa bene, sempre, ma fa ancora meglio se le risate avvengono durante l'ospedalizzazione. L'obiettivo della gelontologia, infatti, è sperimentare modalità relazionali che contribuiscono a migliorare l'equilibrio immunitario e le abilità psico-relazionali.Oltre ai medici, nella clownterapia sono impegnati anche i "volontari del sorriso", circa 40 a Roma e 120 in Italia. Anche per loro l'iter formativo e' rigoroso: 90 ore concentrate in sei fine settimana e, al termine delle lezioni teoriche, un tirocinio in ospedale. Le materie affrontate in aula spaziano dalla psicologia dell'età evolutiva alle simulazioni del gioco in ospedale. Alla base di tutto, spiegano i volontari, c'è la capacità di ascolto, fondamentale per entrare in sintonia con imalati. Pur avendo ruoli diversi, medici e volontari collaborano nella realizzazione di alcuni progetti, come nel caso dell'associazione "Hagape" che si occupa di ragazzi diversamente abili e dove si svolgono laboratori di comicità e salute. Il convegno capitolino è avvenuto per la collaborazione dell'associazione sociosanitaria "Ridere per vivere" con l'assessorato comunale alle Politiche di promozione della famiglia e dell'infanzia. "Il ruolo del nostro assessorato-afferma l'assessore Lia Di Renzo- è mettere il bambino al centro della città. Roma investe sui bambini seguendo non le ragioni dell'economia e del profitto, ma piuttosto quelle del cuore, della tenerezza e della gioia. L'obiettivo del progetto “Sorridi in ospedale”, per il quale abbiamo impegnato 400mila euro, è rendere gli ospedali accoglienti per i piccoli ricoverati che non devono perdere la voglia di vivere e di giocare e la certezza di tornare a casa".“Ridere per vivere" ha attivato a gennaio scorso il primo master sul tema: "Il clown nelle strutture sociosanitarie", primo master di II livello istituito dalla Sapienza rivolto ai laureati in medicina e psicologia. Una formazione che si è resa necessaria soprattutto perché anche in Italia i clown dottori cominciano ad avvicinarsi agli anziani.

martedì 13 marzo 2007

Il disagio della depressione

depressione Quando la routine quotidiana della giornata, come andare al lavoro, a scuola, in facoltà, in palestra, vedere amici, etc, provoca un senso di disagio, sconforto, tristezza, malinconia, è possibile che si stia vivendo un sentimento di depressione. Si potrebbe trattare di un episodio depressivo nella sua fase embrionale, non ancora molto fastidioso. Per comprendere in quale situazione ci stiamo trovando è sufficiente porsi una domanda: Mi piacerebbe cambiare vita, subito? Cambiare città, abitudini, amici, in questo momento? Se la risposta sarà: Certamente! Pronunciata con un sospiro di sollievo, probabilmente si tratta di un semplice sentimento depressivo, probabilmente solo temporaneo. Nel caso più grave, la risposta sarebbe decisamente diversa:No, non cambierebbe nulla, non serve a niente. In questo ultimo caso è molto probabile che si tratti di una vera e propria situazione di depressione. Alcune persone vivono una esistenza in compagnia di depressione, malinconia, tristezza, sconforto, delusione; immerse in un mondo senza colori, come imprigionate in un grigiore permanente. In questa situazione emerge la paura di vivere e l'incapacità di essere felici.Viviamo in una società dove, come noi ben sappiamo, la forma fisica, la giovinezza a tutti i costi, l'efficienza, la ricchezza, il potere, occupano i gradini più alti del podio, nella gara della vita, deformando l'etica e la naturale scala dei valori. Per questo motivo la depressione rappresenta una vera e propria minaccia. Dove le aspettative della società nei confronti dell'individuo sono eccessive e mascherate, il sentimento di inadeguatezza, di insufficienza è difficile da controllare, occorre una profonda saggezza e padronanza di se. Non importa il reale successo riscontrato nella vita, la depressione è un malessere trasversale, ne hanno sofferto anche i gradi della storia, come Abramo Lincon, Marilyn Monroe, Naomi Campbell. Il depresso cerca disperatamente spiegazioni logiche del malessere, come le condizioni meteorologiche, l'insonnia, l'indigestione, una lite in famiglia o sul lavoro. Quando esaurisce le possibili plausibili risposte, fa appello all'ultima risorsa incontestabile: sono pessimista per natura, non posso farci nulla. Indipendentemente dalla "scappatoia" scelta dal depresso, il bisogno imperante è quello di illudersi che questa situazione angosciante, non è nulla. Questa capacità di auto inganno consenta al depresso, nei casi non ancora gravi, di rendere la malattia invisibile alle persone vicine. E' il caso della cronaca nera degli ultimi anni, dopo la drammaticità e la ferocia delle esplosioni depressive, che portano a conseguenze catastrofiche (morte), i vicini intervistati dai giornalisti dichiarano che l'attore di tali atti, apparentemente, era una persona mite, tranquilla, buona e cordiale... La segreta sintomatologia del depresso sgorga da un profondo conflitto intrapsichico volto alla sopravvivenza. Aumenta il bisogno fisiologico di recupero e nel contempo l'insonnia impedisce l'adeguato riposo, aumenta lo stato di irrequietezza e nervosismo. Cala la capacità di attenzione e concentrazione, così come la pulsione alla vita (desiderio sessuale) e, lentamente, avanzano pensieri suicidi o/e omicidi. In alcuni casi dolori persistenti, spesso apparenti, ma comunque fonte di sofferenza, "coprono" i sintomi depressivi. Il medico di base dovrà fronteggiare pazienti che lamentano disturbi gastro-intestinali, cefalee, tachicardia, senza che i trattamenti canonici producano alcun risultato (depressione larvata, il vero problema è psichico e non fisico). Questi pazienti depressi attendono aiuto e sostegno dalla medicina ufficiale, avviano in questo modo un incessante pellegrinaggio da medico a medico. La forte incidenza di questo male, considerato epocale, ha fatto si che la depressione fosse rinominata: "il raffreddore della psichiatria". Come nel raffreddore, anche nella depressine, nessuno è completamente immune. Per comprendere meglio l'identità del depresso, la clinica divide la popolazione in quatto categorie: sesso, età, stato civile e classe sociale.SESSO: Sono soprattutto le donne a soffrire di depressione, con un rapporto due terzi (su tre persone sofferenti di depressione, due sono donne). Pare che le donne siano meno tolleranti allo stress. Altri studi hanno dimostrato che un diverso regime ormonale, soprattutto nel periodo post parto e in menopausa, rendono le donne più esposte alla depressione. Altro fondamentale elemento riguarda la condizione sociale: conflitti di ruolo, educazione ricevuta, condizionamenti sociali e mancanza di potere in una società dominata da valori soprattutto maschili.ETA': la fascia di età più a rischio di depressione è quella compresa dai 17 ai 40 anni, con differenze tra i sessi. Per le donne l'incidenza maggiore è prima dei 35 anni, mentre la fascia maggiormente colpita per gli uomini è quella degli over 50 (mediamente da 50 a 75 anni).STATO CIVILE: l'incidenza della depressione è minore nelle persone sposate felicemente, a seguire le nubili, quindi le vedove, poi dai celibi, vedovi o separati. Le persone più esposte sono le donne separate o divorziate. CLASSE SOCIALE: le depressioni sono più frequenti nelle più basse classi sociali. I motivi possono essere ricercati in una minore apertura al dialogo sereno e pacifico, alla difficile possibilità di appoggi competenti tra le persone vicine e all'inusuale allenamento emotivo.Gli psichiatri americani nel manuale diagnostico delle malattie mentali, nella sezione "turbe affettive", divide gli episodi maniacali e quelli depressivi (forme unipolari) e la malattia maniacale bipolare con fasi alterne: maniacali e depressive. Nella sezione "altre turbe affettive" troviamo la ciclotimia e la nevrosi depressiva. La differenza sostanziale risiede nella differenza tra depressione esogena e depressione endogena. Le depressioni endogene sono più gravi e pericolose e hanno origine somatica. Le depressioni reattive o esogene, sono condizionate dall'ambiente e si avviano come conseguenza ad eventi stressanti: lutto, separazione, trasloco, crollo finanziario etc. Le cause delle depressioni reattive devono essere ricercate all'esterno. Lo psicoterapeuta aiuta ad uscire dallo stato depressivo tentando di ridurre la pressione che dall'ambiente investe la persona depressa, evidentemente facendo leva sui sentimenti.La depressione endogena nasce dentro noi e l'ambiente esterno ha scarsa influenza. Dipende dalle esperienze dell'esistenza, da qualcosa che è successo e che ha influenzato il nostro modo di vivere e di sentire gli altri. Cambiare vita, cambiare ambiente, viaggiare continuamente è inutile; il male è dentro e non ci lascia, ovunque si vada. COME AFFRONTARE LA MALATTIA.Possiamo affrontare la depressione in diverse modalità. Secondo il mio punto di vista il modo corretto è quello interpretativo. La modalità interpretativa ritiene cha la depressione non deve essere curata, da curare è il conflitto intrapsichico che la genera. La depressione è un sentimento formato dall'insieme delle sensazioni spiacevoli e dalle esperienze dolorose, traumatiche costituite da immagini. Dal momento del concepimento, alla nascita, alla vita nei primi momenti ed in seguito, ogni individuo è investito da una quantità sterminata di sensazioni, sia piacevoli, sia dolorose. A queste sensazioni si associano rappresentazioni, pensieri di momenti reali che caratterizzano i sentimenti ed il modo di sentirli e viverli. Ogni sentimento si associa ad un pensiero di vita. La componente razionale (IO) per la psicoanalisi freudiana, nella sua ricerca di soddisfare un desiderio gratificante, può trovarsi in una situazione conflittuale. Il desiderio di gratificazione potrebbe contrapporsi al pensiero ad esso associato. Ad esempio il desiderio di comportamento intimo con un potenziale partner potrebbe lottare con il pensiero della punizione per un comportamento giudicato sconsiderato e sconveniente, soprattutto se la persona è impegnata sentimentalmente. Si genera un conflitto intrapsichico, emotivo, tra il desiderio (carica pulsionale) e la paura delle conseguenze (repressione). E' compito dell'Io superare il conflitto, attraverso una mediazione, avviando un compromesso che consenta la gratificazione con un minimo prezzo da pagare in termini di sensazioni spiacevoli. Una forma di compromesso è la rinuncia a realizzare il proprio desiderio, oppure di commettere una azione sostitutiva a quella considerata pericolosa. Mia figlia Federica di 30 mesi, dopo avere litigato con sua sorella più grande e avere preso una sculacciata da lei, decide di picchiare me in sostituzione della sorella, sapendo che io non replico, la sorella si. Classico esempio di violenza deviata. E' importante imparare nella vita a veicolare l'aggressività in modo costruttivo e opportuno, rispetto alle situazioni della vita. Studiare con impegno per conquistare una gratificazione sociale, attraverso i titoli acquisiti, è un esempio di aggressività veicolata in una buona direzione; lanciare oggetti o peggio in uno stadio gremito da tifosi, no.I sentimenti possono formarsi nei primi anni di vita e si perfezionato attraverso l'esperienza. Nel periodo dell'infanzia i bambini possono subire traumi profondi soprattutto per tre tragici eventi:• La perdita dei genitori o la separazione dei genitori (vissuta come disintegrazione della famiglia)• La perdita dell'amore dei genitori• La castrazione psicologica (non fare questo, non fare quello, tu non puoi fare questo, non mi sfidare, abbassa quelle mani..etc. Imperativi costanti e continui, non episodici).Questi terremoti emotivi per i bambini sono vissuti come vere e proprie calamità della natura. La profonda paura conseguente condiziona la crescita psichica del bambino. Il pensiero che la gratificazione di una pulsione e conseguente liberazione dalla carica tensionale, tipica della pulsione stessa, può provocare un sentimento di angoscia, molto vicino al sentimento depressivo. L'angoscia condiziona il futuro attraverso la paura (se assecondo la pulsione mi accadrà qualcosa di tremendo), il sentimento depressivo ha un tempo presente, un senso di colpa a priori, senza un motivo determinato che rende inutile ogni tentativo di espiazione. Pentimento e conversione sono nulli, proprio perchè il senso di colpa non è collegato ad un pensiero razionale. Mentre l'ansioso teme il futuro in relazione alle scelte che lo potrebbero condizionare; il depresso teme di avere già commesso tutti gli errori possibili e, come reazione, diviene passivo. Così asseconda sistematicamente i genitori, fa quello che loro desiderano che faccia (specialmente la figura materna), frequentano solo compagnie e partner approvati dai genitori, scelgono l'abbigliamento conforme al pensiero di famiglia etc. Continuano a richiamare l'attenzione e l'approvazione genitoriale alla incessante ricerca dell'amore che sentono di avere perso. La psicoterapia è l'unica strada percorribile per salvare il depresso da questo stato, proprio perché è ignaro del tradimento patito. La perdita dell'amore dei genitori per un bambino non dipende mai da colpe del bambino, sebbene, ignari delle conseguenze, i genitori si sforzano di fargli credere. Nei casi più gravi, il depresso può improvvisamente rovesciare la sua personalità, in questo caso l'individuo si sente costretto a fare tutto l'opposto di quello che fino a quel momento ha fatto per soddisfare l'inconscio, inconfessabile desiderio di punire genitori che continuano a dimostrarsi indifferenti al suo amore. Questi sono casi molto pericolosi che possono spingere il depresso a commettere efferati e deprecabili atti criminosi (uccidere un figlio, una fidanzata etc.).La depressione inchioda l'individuo in una condizione di scacco matto. Tristezza, sconforto, disagio, malinconia, si impossessano di lui. Quando una persona non sente più la forza di lottare, di reagire, è costretta a fermarsi e rinunciare alla speranza. Per uscire dal tunnel della depressione è importante comprendere come la depressione non sia priva di senso; si tratta di una reazione comprensibile e assolutamente normale, dopo avere patito esperienze di vita particolarmente difficili, pesanti, stressanti e traumatiche. Chi è vicino al depresso deve sapere di non dover mai fare leva sulla volontà. L'imperativo: reagisci! E' controproducente e pericoloso, il rischio è il suicidio. Se il depresso potesse reagirebbe di buon grado, il problema e che non può, ogni tentativo di innescare una reazione dinamica contribuisce a spingere il depresso più in profondità, nella grotta buia della sua malattia. L'aiuto dovrà navigare tra le calme acque dei sentimenti e della comprensione.



Fonte: redacon.radionova.it

martedì 6 marzo 2007

Tutti per uno e uno per tutti!

Girovagando su Internet e tra i vari blog ho trovato questa iniziativa e mi sono subito detta...Perchè no?...Vi riporto quanto ho trovato, sperando di raggiungere l'intento di chi per primo ha portato avanti questa proposta!


bambini!

"Vi lancio una sfida! Nel mondo dei blog siamo numerosi ,pero', possiamo riuscirci a far girare un messaggio a tutti ed è per una causa buonissima ANTIPEDOFILIA! Perche' episodi su tanti bambini siano solo un brutto ricordo per tutti. Daremo un segnale......CREDIAMOCI INSIEME!! Ricopiate sul vostro blog questo stralcio e vediamo quanti di noi riescono realmente a dar vita a questa campagna e,dopo averlo copiato aggiungete la vostra firma.....come dire IO CI STO!! Combattiamo insieme:" ...... 81gaia





lunedì 5 marzo 2007

La musica racconta la realtà

Quest'anno al Festival di Sanremo ha vinto chi ha cantato per ricordare, chi ha prestato la sua voce a qualcuno che non avrebbe potuto raccontare la sua storia e chi è riuscito a rendere melodia i drammi quotidiani. Danilo Di Matteo ha descritto così la canzone vincitrice.


Lo stigma nei confronti dei “malati di mente”, si sa, è duro a morire e tende a riproporsi in forme sempre nuove, anche se è ormai diffusa la consapevolezza che certi vissuti (di ansia o di depressione soprattutto) non sono estranei alla maggior parte di noi.
La canzone di Simone Cristicchi, uscita vincitrice al festival di Sanremo, contribuisce ad abbattere il muro che ci separa dalle forme più gravi di sofferenza psichica. Una lettura parziale della psicoanalisi, infatti, può portare a pensare che gli psicotici tendano a investire l’energia libidica solo su se stessi (ritiro narcisistico) e siano incapaci di amare davvero e in maniera durevole. In realtà proprio Freud mostrava come vi siano sempre (in tutti noi) spinte divergenti e fra loro potenzialmente conflittuali fra l’Es (le pulsioni), il Super-Io (le norme morali) e la realtà esterna. E nei disturbi psichiatrici è il rapporto con quest’ultima che può essere gravemente compromesso; da qui lo scacco nelle relazioni interpersonali. La malattia, in altre parole, non solo consente al paziente di avere una vita sessuale (come non di rado avviene), ma gli lascia anche il desiderio di amare ed essere amato: solo che il percorso volto a realizzarlo è per lui pieno di insidie e di ostacoli sovente insormontabili.Così la lettera d’amore cantata da Cristicchi è un grido di libertà; la ricerca di una via per superare i limiti imposti da una sorte avversa e disporre gioiosamente dei propri sentimenti.



La corteccia cerebrale può riacquisire plasticità anche da adulti: arriva da Pisa la scoperta!

cervello Il cervello degli adulti non ha la stessa plasticità di una mente giovane. Ma ora gli scienziati del Cnr di Pisa hanno identificato un meccanismo molecolare che potrebbe restituire quella duttilità persa nel tempo. Il team dell’istituto di neuroscienze ha applicato la scoperta su cavie di laboratorio. Con risultati sorprendenti: i ricercatori italiani sono riusciti a ridare alla corteccia visiva di topi adulti la plasticità tipica di topolini giovani. Una scoperta che potrebbe avere grandi implicazioni nelle terapie riabilitative. E che sarà pubblicata domani sulla rivista Neuron.
Gli scienziati hanno lavorato sull’ipotesi che, nei neuroni adulti, la minore plasticità del cervello - cioè la capacità di modificare le connessioni neurali in risposta agli input esterni - dipenda da una ridotta capacità di trasformare gli stimoli ambientali in risposte biochimiche. Tale funzione ha sede nella corteccia cerebrale ma è maggiore nella fase di crescita. Sembra infatti che nei cervelli giovani le stimolazioni provenienti dall’esterno lascino una traccia, a livello di trascrizione dei geni, molto più forte di quanto avvenga da adulti.
Il periodo della crescita, quando le connessioni neuronali sono più duttili, è molto delicato. Per esempio, se nei primi anni di vita un bambino si trova sottoposto a stimoli visivi non adeguati, può accadere che la sua corteccia cerebrale non si sviluppi bene e che questo causi, di conseguenza, una riduzione della vista.
Il loro obiettivo, a questo punto, era invidivuare le differenze di plasticità. I ricercatori italiani hanno così confrontato in laboratorio la corteccia visiva di topolini giovani con quella di topi adulti. Ed hanno scoperto che nei primi, gli istoni - cioè le proteine che formano l’ossatura del Dna - sono più reattivi. Inoltre, sono modificabili da stimoli esterni, come un fascio di luce. Poiché queste modifiche influenzano l’attività dei geni, il team di Pisa ha identificato in esse la causa della maggiore o minore plasticità del cervello.
Per dimostrarlo, i ricercatori hanno provato a produrre delle modificazioni sugli istoni. E per farlo, hanno usato sui topi una sostanza, la tricostatina, che aumentando l’acetilazione degli istoni, provoca le stesse reazioni generate in una giovane mente da una stimolazione luminosa. Il risultato ha confermato la teoria: nei cervelli adulti trattati con tricostatina la plasticità della corteccia visiva è aumentata e i topi adulti si sono comportati come quelli in via di sviluppo.
"Il nostro studio - ha spiegato Tommaso Pizzorusso, che ha diretto il lavoro dell’équipe di ricercatori - ha individuato un meccanismo per ripristinare negli adulti la plasticità di una mente giovane". Ma c’è di più: questo sistema potrebbe essere applicabile in generale e non solo alla corteccia visiva: "Trattamenti di questo tipo potrebbero essere usati nelle patologie dove è necessario ottenere un aumento della plasticità sinaptica per favorire l’azione di terapie riabilitative". "Ma - avverte Pizzorosso - è opportuno ricordare che le alterazioni del controllo della trascrizione del Dna non sono prive di possibili effetti negativi. Occorrerà quindi individuare bene quali strumenti utilizzare per sfruttare al meglio la nuova possibilità".


giovedì 1 marzo 2007

Leggere aiuta a crescere!

bimbo Oggi vi propongo un articolo pubblicato su "La Repubblica" che sottolinea come la partecipazione attiva all'interno della diade madre-bimbo fin dall'inizio, abbia un importante risvolto positivo per la crescita di quest'ultimo. In particolare il tema in questione riguarda la lettura e come questa possa veicolare lo sviluppo di capacità diverse nel piccolo oltre che consolidare la relazione con la madre.
Leggere al neonato, fin dai primi vagiti. Leggere al bimbo che ancora non possiede gli strumenti per farlo da solo, per aiutarlo a crescere. "La lettura precoce", spiega Beatrice Benelli, docente di Psicologia dello sviluppo linguistico e sociale alla Facoltà di Psicologia di Padova "ha diversi effetti positivi: sullo sviluppo linguistico (in particolare sull'acquisizione del vocabolario nei bimbi sotto i 3 anni); sullo sviluppo delle capacità cognitive e della conoscenza (aumenta la capacità di rappresentarsi mentalmente realtà diverse e lontane dal "qui ed ora" e di evocarle), con la conseguente acquisizione anche di un lessico "decontestualizzato", ossia non limitato alle cose quotidiane e presenti". Ma le ricadute positive si estendono anche alla concezione del libro e della lettura. In sostanza il libro diventa per il bambino oggetto di interesse come tale, piacevole fonte di esperienza e conoscenze. Ciò aumenta la probabilità che la lettura fatta dall'adulto al bambino, quando questo è piccolo, si trasformi in lettura autonomamente condotta e perseguita dal bambino stesso, quando è più grande. Infine, la precoce esposizione al testo scritto permette di acquisire con più facilità quelle regole che sono coinvolte nell'acquisizione della letto-scrittura (la corripondenza suono-segno grafico, la scansione e composizione delle parole, l'organizzazione degli argomenti, ecc.). La lettura precoce è naturalmente importante, puntualizza Roberto Cambiaso, pediatra di Genova, "anche per l'instaurarsi di una buona relazione genitori-bambino". Non è solo fonte di apprendimento linguistico e concettuale, ma soprattutto un'occasione di scambio comunicativo e affettivo tra bimbo e adulto."È un rito", aggiunge Benelli, "che conferma l'appartenenza ad un nucleo sociale (la famiglia), stabilisce significati comuni e condivisi, perpetua abitudini e tradizioni diventando quindi un momento centrale nella costruzione della identità infantile. La proprietà generale è la sua natura dialogica che non consiste nel leggere semplicemente il testo, ma nel coinvolgere il bambino con domande, conferme, commenti, espansioni di informazioni, riferimenti alla sua esperienza...". Per iniziare "non è mai troppo presto", suggerisce Cambiaso. In ogni caso la lettura diventa "irrinunciabile" dopo i 6 mesi, quando il bebé è in grado di prestare sempre più attenzione all'ambiente esterno.


mercoledì 21 febbraio 2007

Nuova convenzione tra La Sapienza, l'Istituto Neuromed e la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi del Molise

Come già avvenuto nella convenzione con l'Università "La Sapienza" di Roma, che regola rapporti e attività nel settore delle neuroscienze, l'Istituto Neuromed si relaziona anche ad un'altra realtà di ricerca universitaria, impegnandosi a collaborare con la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi del Molise, per la programmazione e attuazione di progetti di formazione e di ricerca, di attività di stage, di utilizzo di piattaforme tecnologiche nell'ambito delle neuroscienze, della medicina molecolare e dei settori scientifici collegati. L'occasione è data dall'apertura in Molise del Polo Didattico della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi del Molise avvenuta nell'aprile 2006. "La convenzione tra Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, Università degli Studi del Molise e IRCCS Neuromed di Pozzilli risponde all'esigenza di potenziare la rete di ricerca biomedica nel Molise, ha affermato il Preside di Facoltà, Prof Giovannangelo Oriani, mettendo in collegamento le istituzioni universitarie con quelle realtà di ricerca biomedica che come Neuromed costituiscono un autentico patrimonio della regione. Si tratta di una convenzione quadro, ha continuato il Prof Oriani, che prevede attività di ricerca che tre enti possono svolgere, condividendo strutture e competenze, presso la sede del Neuromed, nel settore delle neuroscienze. I progetti da attivare all'interno della convenzione possono essere proposti da ognuno dei partner e prevedono che ricercatori dell'Università del Molise possano operare presso i laboratori Neuromed e viceversa"."In effetti, questo Istituto, per le sue capacità scientifiche e per le sue attività assistenziali, si è guadagnato un posto di alto rilievo nel campo della sanità e si è posto all'attenzione nazionale e internazionale", ha affermato il Presidente dell'IRCCS di Pozzilli, il Prof Erberto Melaragno, concludendo che "tutto ciò si è reso possibile anche grazie alla collaborazione con l'Università "La Sapienza" di Roma e, certamente, ulteriori traguardi si raggiungeranno, instaurando rapporti con la giovane Facoltà di Medicina dell'Università degli Studi del Molise ".

martedì 20 febbraio 2007

Eutanasia: crocevia della coscienza medica

Tra tutti gli articoli e i pareri che mi è capitato di leggere in merito al tema dell'eutanasia, quello che ho scelto di riportare oggi affronta il perchè questa pratica venga richiesta più frequentemente da paziente affetti da disturbi neuropsichiatrici, sottolinenado la necessità di comprendere quando e come queste persone sono in grado di esercitare "il libero arbitrio".
Ho scelto di non riportare immagini nell'intento di non spettacolizzare un tema che riguarda la delicata condizione esistenziale dei malati soprattutto e delle persone a loro vicino.

FRANCESCO MONACO, UNIVERSITA’ DI NOVARA
C’ è sempre stato un rapporto intenso e ambiguo tra le neuroscienze e l’eutanasia, rapporto che il recente (ma non unico) caso di Piergiorgo Welby ha riproposto all’opinione pubblica in maniera dirompente. Paradossalmente, infatti, sia la richiesta di eutanasia da parte dei pazienti sia le proposte di legalizzazione di tale pratica in soggetti con disturbi neuropsichiatrici sono risultate molto più frequenti che non per altri tipi di patologie.
Da una parte, infatti, a richiedere in maniera angosciante la cessazione delle sofferenze sono individui che hanno perduto il controllo totale dei movimenti agli arti (tetraplegia) e che conservano tuttavia intatta la coscienza. Questi pazienti potrebbero essere definiti quasi dei «morti viventi», avendo un corpo pressoché morto al di sotto del livello della lesione (solitamente cervicale) e un cervello, e quindi la sua mente, perfettamente integri. Dall’altra, esiste una quantità di soggetti, dei quali una parte in costante aumento a causa dell’allungarsi della vita, affetti da una situazione clinica opposta, ovvero da disturbi psichici devastanti o grave decadimento mentale (come per esempio l’Alzheimer), senza alterazioni particolari del movimento.Un sottogruppo di questa seconda popolazione è costituito da bambini con gravi lesioni cerebrali congenite oppure acquisite.Sia soggetti adulti che bambini con questi disturbi nel passato furono vittime di infami programmi di eutanasia attiva, come nel Terzo Reich. Appare pertanto opportuno che il dibattito sull’eutanasia sia affrontato tenendo conto di queste premesse e che il coinvolgimento delle neuroscienze nelle sue problematiche mediche ed etiche aiuti a chiarire un argomento lacerante.Il nodo della questione si trova, metaforicamente, nell’intersezione tra neurologia e filosofia, ovvero in quella nuova scienza, la «neurofilosofia», che sta sperimentando un forte sviluppo proprio grazie alle formidabili scoperte delle neuroscienze: portate ai loro estremi, pongono in discussione persino il dilemma millenario del «libero arbitrio». La preoccupazione è infatti che la comprensione dei meccanismi biologici del cervello possa minare le nostre credenze su di esso e sulla responsabilità morale. Si riattualizza pertanto il dualismo filosofico tra mondo «deterministico» (tutto è stabilito da Dio o dalla fisica) e «libertario» (tutto è casuale). Il dualismo non è lontano dall’argomento «eutanasia», perché questo è un capitolo del più vasto argomento che è la bioetica. Infatti, la questione fondamentale nel decidere se dichiarare legittima o no l’eutanasia è che in ogni caso si ha a che fare con i concetti mentali di «coscienza» e «libertà», entrambi interdipendenti. Se sulla scorta delle recenti ricerche delle neuroscienze cognitive, sostituiamo il termine «libertà» con quello di «controllo», forse sgombriamo il campo da preconcetti moralistici e inconcludenti e iniziamo a ragionare in maniera laica, aiutando l’individuo a scegliere con relativa serenità. Il «controllo» può rappresentare una nozione appropriata quale intermediaria tra la decisione e l’azione da una parte e la responsabilità dall’altra.In questa ottica l’eutanasia può essere attuata solo da chi esercita il completo controllo delle sue decisioni nel momento della scelta, e questo implica che la sua coscienza sia integra e nessuna delega o deroga è ammissibile.
In questo ambito si situa anche il discorso sul «testamento biologico». Come medico e come neurologo ritengo che l’eutanasia potrebbe essere applicabile a chi la richiede laddove sia pienamente cosciente. Sono invece contrario ad ogni forma di «soppressione del diverso», intendendo con questa definizione l’eutanasia delle persone con deficit cognitivi e/o psichici. Per questo condivido la presa di posizione dell’American Academy of Neurology, secondo cui «tutti i pazienti devono essere trattati con rispetto e compassione e ogni cura palliativa deve essere fornita a chiunque la necessiti e la richieda». L’Academy, così, parla in difesa di quella schiera di persone cognitivamente impedite, o vulnerabili, che sono più a rischio per la fascinazione della dolce morte.